• GIACOMO, LO SPECCHIO DI LUCA

GIACOMO, LO SPECCHIO DI LUCA

Uno degli appuntamenti da non perdere dell’estate letteraria asiaghese sarà senza dubbi quello del 28 luglio con il giornalista sportivo Giacomo Crosa e il presidente del Comitato Paralimpico Italiano Luca Pancalli, entrambi sul palco centrale per parlare del romanzo verità che mette a nudo e racconta la straordinaria vita di quest’ultimo.Pancalli aveva diciassette anni quando, giovanissima promessa del pentathlon moderno, diventò tetraplegico in seguito a una caduta da cavallo durante una competizione internazionale. Fu quello l’inizio di una nuova vita, fatta di piccole e grandi sfide quotidiane, di comprensibili momenti di sconforto ma anche di caparbia determinazione per la conquista di nuovi traguardi che l’hanno portato ad essere l’atleta paralimpico più medagliato di sempre oltre che il promotore stesso del movimento paralimpico italiano ed un manager sportivo di successo. Un’eccezionale vicenda umana, sportiva ed esistenziale raccontata con empatia da Giacomo Crosa, che l’ha resa un romanzo e un esempio di cosa voglia dire essere uomini di sport nell’anima.


Giacomo, come è avvenuto il vostro incontro e come è nato il progetto del libro?

Le due cose non sono in realtà legate. Il primo incontro con Luca risale ad una conoscenza professionale; subito dopo la partecipazione di Oscar Pistorius al Golden Gala di Roma (la sua prima gara con i normodotati) invitati Pancalli al TG5 per discutere delle eccezioni regolamentari che erano state fatte, essendo lui uno dei promotori di questa discussa partecipazione. Successivamente ci sono stati altri incontri e momenti di confronto finchè, un giorno dell’anno scorso, lui mi ha proposto, con mia grande sorpresa, di scrivere un libro sulla sua vita. Non era nei miei programmi scrivere un libro, né tantomeno un libro su di lui. Mi sono preso del tempo e alla fine ho accettato, ma precisando che non ne avrei fatto una biografia, bensì un romanzo con protagonisti lui e i personaggi della sua vita. Nel libro, eccezion fatta per due nomi di donna non reali per ovvi motivi di privacy, tutto è vero dal primo all’ultimo dettaglio.

Che cosa ha rappresentato per te questa inedita esperienza?


E’ stato un momento di straordinaria gratificazione, perché un tal richiesta vuol dire avere totale fiducia nella persona che ti deve raccontare. E’ stata un’esperienza realmente forte, in senso positivo: prendere la vita di un altro e farla tua. Anche faticosa, non tanto per la scrittura ma per entrare nel suo racconto e quindi diventare lui . Non è una cosa facile. Spesso e volentieri durante la stesura rileggevo a Luca le cose che scrivevo per verificare se avevo correttamente interpretato certe situazioni e le problematiche che ha dovuto superare… alcune volte, nel rivivere e nel sentire raccontati certi momenti, Luca non è riuscito a trattenere le lacrime e ciò per me era un trauma e una cosa meravigliosa allo tempo stesso. Lo ringrazio per avermi dato la possibilità di immedesimarmi in lui e di vivere delle emozioni che inevitabilmente ti segnano e ti cambiano. In definitiva, posso dire che questa esperienza mi ha reso un uomo migliore.

Può essere questo libro un riferimento dove chiunque può trovare nuove motivazioni, nuove energie per reagire alle difficoltà?

Sicuramente la capacità di questo ragazzo di trasformare la disgrazia e il dolore in nuova energia vitale è una delle componenti del libro anche se, devo dirlo, il libro è tutto meno che un’agiografia o un’esaltazione dell’eroismo. Per come lo vedo io, Luca Pancalli non è un santo e nemmeno un eroe. Bensì un uomo normale alle prese con le cose che fanno parte di una vita normale: l’amore, il conflitto con Dio, la risoluzione di questi conflitti. Non c’è solamente la storia, più o meno romantica ed esemplare, di un ragazzo di 17 anni che ha un tragico incidente e che riesce a superare le conseguenze di questo episodio. Leggere questo libro ti fa modificare le definizioni dell’altro, del diverso.

La vicenda di Pancalli ci restituisce un’immagine dello sport come formidabile occasione di inclusione. Quali altri atleti del passato o del presente hanno secondo te incarnato un messaggio analogo?

In realtà io ho una convinzione, che peraltro ho sempre cercato di raccontare in quarant’anni di giornalismo, secondo cui la figura del campione nell’agone non deve essere sovrapposta a quella del campione nella vita. I campioni sportivi vanno presi come esempi per quello che attiene al gesto tecnico che interpretano, o per la capacità di gareggiare e di allenarsi. Non sempre, anzi nella stragrande maggioranza dei casi, quasi mai i campionissimi sono anche un esempio di vita. Quando accade, ci troviamo difronte all’eccezione. E Pancalli, per quanto mi riguarda, è una di quelle eccezioni. Trovo che sia una demagogia e una retorica fuori dal tempo e dalla realtà affermare che il campione debba essere a tutti i costi un esempio per la vita. Non è neanche onesto dare al campione dello sport questo ruolo che sfiora il divino.

Quali sport ti danno particolari emozioni o non puoi fare a meno di seguire?

A parte l’Olimpiade che per me è sacra, perché in ogni gara rappresenta l’essenza di quello che è lo sport, il momento sportivo più esaltante che seguo come spettatore sono i play-off dell’NBA. Uno sport che rappresenta la performance di grandi atleti con una tensione agonistica portata ad estremi livelli e gesti sportivi interpretati da straordinari atleti. E’ atletica al massimo livello, giocata con un pallone da basket.

Parliamo di Asiago… cosa apprezzi maggiormente di questo territorio?

Conosco bene questo territorio perché in diverse occasioni ci ho giocato a golf. In vecchiaia cerco di mantenere sveglio lo spoirito agonistico che in me. Mi sono rimaste le bocce o il golf… e io ho scelto quiest’ultimo. Scherzi a parte, mi piacciono molto la concentrazione del golf e certi momenti psicologici che mi avvicinano a quello che facevo nel salto in alto.
0 Commenti disabilitati 3058 09 ottobre, 2013 PERSONAGGI ottobre 9, 2013

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